Andrea è un pilota genuino, non una superstar. Qui non troverete un racconto da fotoromanzo, ma la storia di un Campione che si è fatto da sè, raccontata con le sue parole e con il suo stile

 

AVEVO tre anni quando ho buttato via due ruote e ho cominciato a stare in equilibrio su due ruote. Mi spiego: avevo la bicicletta con le rotelle ma mi davano fastidio, così il mio papà le ha tolte. È in quel momento che ho capito quale sarebbe stato il mio futuro, e quindi non mi restava che cercarmi un team serio e qualche sponsor, però non era facile, a quei tempi. Nei primi anni Settanta corsi qualche stagione in terra di Calabria, dove il mio papà s’era trasferito per lavoro. Ho dovuto abitare per qualche tempo a Gioia Tauro e approfittando delle leggi che all’epoca vigevano in loco, a sei anni finalmente sono riuscito a diventare pilota dell’Aprilia. Grillo. Sì, si chiamava proprio così il motorino con cui ho imparato a prendere la manetta per il verso giusto. Col Grillo ho disputato numerose e durissime stagioni affinando la mia tecnica e mettendo a punto uno stile tutto mio, sicché all’età di dieci anni potevo vantare una certa esperienza.

L’OCCASIONE di dimostrare quanto valevo me l’ha data Ulisse, il mio fratellone, che aveva una Simonini Long Range da cross col motore Sachs e il cambio a sette marce. Una vera libidine, perché a quel tempo le valvole parzializzatrici sullo scarico dovevano ancora inventarle e il Sachs o era piantato, o era una belva. Cioè sotto coppia non andava nemmeno a spinta, poi esplodeva e ti dovevi sbrigare a cambiare marcia prima che si esaurissero i 2000 giri di regime utile (fra i 9000 e gli 11000, credo). Con sette marce a disposizione, se fai due conti capisci perché ho imparato a guidare.
Però la Simonini Long Range dovevo usarla di nascosto, sennò erano guai, perché ormai ero tornato da tempo a vivere nella Bassa dove le leggi erano molto dure e i vigili molto cattivi. 
Comunque i miei problemi si sono avviati a risoluzione solo al compimento del tredicesimo anno di età, quando finalmente ho avuto un cinquantino tutto mio: un Motron SV3, sul quale ho montato un kit di preparazione composto da una marmitta a espansione Proma (vero must, all’epoca), da un carburatore di 18 mm Ø e da una corona con otto denti in meno dell’originale. Con quel mezzo mi autocronometrai a 125 km/h e mi recai anche nella “valle” a fare motocross. Quale valle? Ovviamente quella del Po. Però ci ho lasciato le pedane. Ma cos’altro potevo fare? Mio padre non voleva comprarmi una moto da cross vera perché il mio fratello maggiore, quando aveva la Simonini, in realtà la usava pochissimo (e vorrei vedere, ce l’avevi sempre tu - nota di Confalone). 
Vabbè, chissenefrega. Ormai avevo sedici anni e gli ormoni spingevano: capii che avevo bisogno d’un mezzo di trasporto gradito al gentil sesso, altro che il Simonini. 
Correva il 1982 e mi comprai un “vespone” PX tutto nero, ma l’ho subito verniciato di rosso, poi l’ho kittato con le mascherine e le retine di plastica bianca, ci ho messo le trombe della corriera, lo stereo con gli altoparlanti nel retroscudo, un pistone lavorato e la marmitta “pitone” della Far. Una vera sciccheria, mi piaceva: quella PX faceva solo 110 all’ora ma non passava inosservata, soprattutto se in curva strisciavo con la marmitta e con la ruota di scorta. Le donne cadevano ai miei piedi e compresi qual era l’altra mia passione, oltre alle moto.

IL BELLO della mia vita di motociclista è venuto più avanti, a ventun’anni, quand’ero già grandicello e militesente e mi sono comprato l’enduro monocilindrica. Una Honda XL 600 LM, per l’esattezza. Fu grazie a lei che fui finalmente illuminato, in quanto decisi d’iscrivermi all’Enduro Training tenuto da Boano e Orioli, due nomi tuttora noti nell’ambiente. Devo ringraziare loro se ho acquistato la consapevolezza di essere un pilota, cosa che sospettavo, ma di cui onestamente non ero molto certo. 
Nell’‘87 con la XL mi sono iscritto alla mia prima gara vera, il Rally dell’Appennino Reggiano, e sono arrivato fino in fondo senza road book (ce l’avevo, ma non lo sapevo leggere!) e senza GPS! Ragazzi, che soddisfazione… Pensate che per quant’ero contento mi sono dimenticato di annotarmi la mia posizione in classifica e non mi ricordo più come mi sono piazzato, alla fine.
Mapperò m’ero accorto che con l’XL più di tanto non si poteva fare, allora ho compiuto il grande passo e mi sono comprato l’XR. Poi ho fatto una proporzione: l’XL sta al Rally dell’Appennino Reggiano come l’XR sta al Rally dei Faraoni. Allora mi sono iscritto all’edizione del 1989 e sono partito per l’Egitto, con una vera faccia da sfinge.
Fra sabbia e sassi ho trovato immediatamente la mia dimensione, tanto che a un certo punto mi sono accorto di essere il primo della categoria Marathon e dodicesimo assoluto in classifica generale. Mìììiii! Viaggiavo davanti alle Gilera ufficiali! Ragàs, urlavo nel casco dalla gioia e intanto acceleravo, acceleravo, sfrizionavo, cambiavo… boombastic! Poi però è scoppiato il cambio e ciccia. Pluf. Il sogno s’è spezzato.
Per fortuna mi si stavano aprendo nuove strade, perché in quel periodo ho conosciuto l'allora responsabile del Reparto Prove di Motosprint, che mi ha coinvolto nell’attività del reparto prove. La mia prima uscita in pista è stata al Nordschleife, il tracciato del vecchio Nürburgring. Lì ho messo in luce una certa versatilità, modestamente, e allora ho avuto le porte aperte nel settore della stampa specializzata.
Comunque il fuoristrada non l’avevo abbandonato, anzi. Così nel 1990 sono tornato all’attacco del “Faraoni” con un’Africa Twin 650 messami a disposizione dalla Honda Italia grazie all’interessamento dell’allora P.R. Carlo Fiorani.
Non mi sembrava vero di poter ridurre un po’ le spese necessarie per correre, che continuavo a sostenere io con l’aiuto di pochi sponsor. Peccato però che mentre viaggiavo sparato come un treno, ma disgraziatamente in condizioni di visibilità compromessa dalla polvere sollevata da altri veicoli, io abbia centrato una buca cadendo in modo rovinoso. Risultato: frattura del metacarpo della mano sinistra. Mai dare soddisfazione alla sfiga, mi son detto. Così per il 1992 mi sono organizzato su due fronti, la pista e il fuoristrada. Per quanto riguarda la velocità ho esordito nel Monomarca Suzuki GSX-R 750 Cup, e ho concluso il Campionato in settima posizione! Il Rally dei Faraoni invece mi riservò l’ennesima sorpresa spiacevole, per usare un eufemismo. Perché quella volta poco mancò che in Africa ci lasciassi le penne… 
Ero tornato in Egitto con la vecchia e fida XR, più motivato che mai. Alla sesta tappa arrivo ad Abu Simbel e scorro la classifica generale: sono terzo assoluto con un buon margine sugli inseguitori. Peccato che il cambio dell’XR sia bloccato in seconda marcia. Decido di sostituire l’intero motore per risparmiare tempo, ma comunque lavoro tutta la notte. Riparto senza aver dormito neppure un minuto, ma dopo 70 km perdo il tappo dell’olio (che non l’avessi stretto bene? Ancora oggi il dubbio mi toglie il sonno…) e s’inchioda il motore.
Così mi sono ritrovato come un carciofo al sole - temperatura dell’aria 58°C - fra Assuan e Hurgada, circondato solo da sabbia e sassi ad attendere i soccorsi. Erano le dieci del mattino. È arrivata la notte ed ero ancora lì, ma non avevo certo voglia di dormire. È venuto freddo e ho messo mano al kit di sopravvivenza avvolgendomi nel telo d’alluminio. Era buio pesto, ma continuavo a stare in piedi  perché sentivo strani rumori che mi mandavano in paranoia. È arrivata l’alba, è tornato il caldo torrido e solo al pomeriggio sono stato recuperato da un gruppo di ex-piloti spagnoli che seguivano il tracciato del rally con le loro jeep. Mi hanno dato da bere e da mangiare e mi hanno accompagnato a Hurgada (mentre per la moto non c’era niente da fare e l’ho abbandonata sul posto), dove ho scoperto che il camion-scopa aveva avuto noie meccaniche, e che io pesavo 12 chilogrammi di meno. Se oggi sono qui a raccontarla, lo debbo a quei ragazzi spagnoli. 
Dopo quell’esperienza comunque ho deciso di concentrarmi nelle gare di velocità, e così nel ’94 mi sono cimentato nell’Italiano Sport Production con una Yamaha FZR 600. Tuttavia quel campionato non mi riservò grandi soddisfazioni, tranne una vittoria sul tracciato di Varano, colta sotto un diluvio universale.
L’anno seguente ci riprovai con la SP, ma nella classe 750. Correvo con quella che a tutt’oggi rimane una delle mie moto preferite, la Ducati 916 SP, con la quale ho concluso il Campionato in seconda posizione, alle spalle di Teneggi. 
L’anno successivo, con la stessa moto, finalmente arriva il successo: ho disputato una stagione particolarmente appagante e mi sono aggiudicato il titolo di Campione Italiano. È allora che il destino mi ha portato in Germania, per disputare il Campionato Tedesco Pro SBK edizione 1997. Tutto nacque dal fatto che Douglas Marchesi mi aveva presentato al Team De Cecco, col quale però ho corso soltanto tre gare. Non sono andato avanti a causa di scelte del Team, anche economiche, che non potevo assolutamente condividere (per non dire che ci stavo rimettendo dei soldi). Quelle tre gare comunque mi valsero il 12° piazzamento a fine Campionato. Prima della fine della stagione sono comunque riuscito a disputare l’ultima prova dell’Italiano SP, portando la mia 916 sul gradino più alto del podio ai danni delle esordienti 996.

LE STAGIONI più recenti mi hanno procurato fortissimi mal di pancia. Oh, ragàs, non me ne è andata bene una. Nel ’98, col Team Ghelfi & Falappa, corro nel Campionato Italiano Supersport 600, lanciandomi pure in tre gare del Mondiale, senza cavarne un granché se non qualche buco nella tasche. 
Per non parlare poi del ‘99 quando ho rischiato di fare per lo Start Team non il pilota, ma l’uomo-immagine della rivista cui prestavo i miei servigi allora, che avrebbe portato vantaggi al team, ma non aveva diritto a una moto competitiva... Lasciamo stare. Meglio rubare all’Energo il posto sul cubo, a questo punto.
E quest’anno? Avremmo dovuto fare “grandi cose”, con un Team Manager come Gianni Giudici, e la Martini che era entrata per la prima volta nelle competizioni motociclistiche. Ma il Millennium Bug me lo sono beccato io, nella mia Ducati 748 R (e non - lo sottolineo - RS...): altro che magagne meccaniche, quelle le vedi. E invece il baco no: lui stava lì, invisibile e dispettoso, pronto a fare capolino nel motore, in barba alla presunta affidabilità che avrebbero dovuto garantirmi i tanto celebrati “grossi nomi”. Va be’, è andata così. Due gare concluse e qualche soddisfazione. Magra. Ho chiuso la stagione con la convinzione d’aver dato fastidio a qualcuno, e di essere stato “castigato” per questo. Ma sono deluso perché ho imparato a mie spese che il mito della sportività sta scomparendo anche dalle cosiddette gare minori, e che per questo ho rischiato di giocarmi l’immagine.
Progetti per domani? Vista l’aria che tira mantengo il segreto. Intanto porto avanti la mia nuova attività all'interno della GooFaster!!, mettendo così a frutto i doni di natura che mi hanno fatto conquistare la fiducia di uno dei più grandi progettisti in campo motociclistico (se non il più grande...) esistenti sulla faccia della terra: la sensibilità da collaudatore e l’affidabilità, nel senso che non vado mai a terra! Ma non nascondo che io punto all’agonismo, prima di diventare troppo vecchio come Poli…

Ora col 2003 inizia la una nuova avventura.

Dopo due anni passati a calcar le piste italiane ed europee con la splendida MV 750 F4, ho avuto l'onore di portare in pista il nuovo motore da 1000 cc. che sarà destinato alla nuova superba creatura di Mr. Tamburini.

Questo nuovo Motore (con la M maiuscola) è la risposta migliore a tutti quelli che davano l'MV per spacciata o speravano lo fosse, perchè qualcuno avrà di che preoccuparsi.... :-))

                                

                                                                                              Andrea Mazzali

 

... to be continued